Una minaccia asimmetrica per l’ambiente

di Marina BIZZOTTO

Maggiore Carabinieri Forestali
Addetta presso il Coespu alla Cattedra di Polizia per la Tutela Ambientale, Forestale e Agroalimentare

(…) ll crollo delle strutture e gli incendi successivi crearono un’enorme nuvola di polvere e tossine nell’aria sopra la città. La polvere tossica venne inalata dagli abitanti e dai soccorritori finché, tre giorni dopo il tristemente famoso attacco alle Torri Gemelle, Manhattan fu interessata da un forte acquazzone che ne allontanò la parte più consistente della polvere e rese respirabile l’aria.

Punto.

Normalmente a questo tipo di approfondimento del problema si sono mediamente soffermate le notizie e gli infiniti servizi giornalistici sul catastrofico evento. Vero è che il problema ambientale sembrava risibile in confronto alla ricaduta sociale dell’attacco terroristico ma purtroppo non è così.

Arrivò la pioggia si scrisse, in maniera quasi semplicistica… quasi a dire implicitamente l’aria divenne respirabile.

E?

Dove finirono le migliaia di tonnellate di polvere costituita da cemento, materiali da costruzione, metalli pesanti e resti umani?

La pioggia che pulì l’aria divenne un vettore pericoloso che inquinò il terreno e la falda acquifera. In maniera silenziosa l’attacco continuava a mietere vittime, soprattutto tra gli abitanti di Manhattan, senza che il sistema di sicurezza pubblica fosse in grado di mitigarne gli effetti devastanti di amianto, metalli pesanti, fibre di vetro, mercurio, diossina, furano e altri agenti cancerogeni, piombo, benzene nell’acqua e nel suolo.

A distanza di qualche mese venne approvato uno specifico documento per la tutela e la salvaguardia dal bioterrorismo che permise alle città più grandi e alle amministrazioni dei diversi Stati di approntare piani per la tutela e la salvaguardia delle acque. Ma del terreno non parla nessuno.

E cosa ne è stato degli animali e delle piante che sono stati investiti da questa valanga tossica?

Terrorismo ed ambiente: abbinata pericolosa.

Pericolosissima.

L’ambiente che diventa mezzo per creare danno ed insicurezza alla comunità

L’ambiente che diventa strumento di una minaccia asimmetrica.

L’ambiente che diventa finanziatore inconsapevole di guerre del terrore.

L’ambiente degradato quale premessa per radicalizzare idee terroristiche e creare proseliti del terrore tra le persone che patiscono gli effetti di una natura sconvolta da disegni diabolici e vedono l’organizzazione terroristica come valida alternativa, o più drammaticamente unica, alternativa, alla morte.

E in tutti questi casi l’ambiente è la vittima: che non ha voce per lamentarsi.

Da queste riflessioni deriva una ricerca basata su dati oggettivi e su situazioni reali che, purtroppo, sono molte e con esiti più o meno drammatici.

Quali proporzioni ha raggiunto il danno ambientale creato dai pozzi di petroli incendiati durante la Guerra del Golfo?

Quale danno sta perpetrando Daesh all’agricoltura del nord iracheno?

Cosa accade nei campi di addestramento delle milizie di Al-Qaeda dove i campionamenti del suolo, eseguiti dopo lo smantellamento, hanno permesso di rilevare tracce di agente nervino e altre sostanze letali?

E quale scopo avevano le armi chimiche, nucleari e biologiche di cui è stata trovata traccia in alcune zone remote in Afghanistan dove si addestrano i terroristi?

Queste non sono semplici domande ma spunti per riflettere sugli scenari con ricadute disastrose sulla salute umana, sugli ecosistemi locali, sugli habitat di popolazioni animali e vegetali, sulle loro migrazioni forzate e sulla capacità adattativa: situazioni complesse di inquinamento e distruzione che possono riverberarsi in modi anche inaspettati e non prontamente evidenti.

L’ambiente nella sua complessità e nella sua ricchezza è nel mezzo.

Sconvolto molto spesso in quelle che sono le sue strutture elementari che consentono la vita.

Ecosistemi resi inospitali da chi si pone l’obiettivo destabilizzante di traumatizzare le società e governarle con il terrore.

E abusa dell’ambiente.

Sin dalla dichiarazione di San Pietroburgo nel 1899 si è stabilito che “la scelta del mezzo di guerra non è illimitata”: tale affermazione fu ribadita anche con la Convenzione de L’Aia e statuita definitivamente con la risoluzione ONU 31/72 del dicembre 1976 che diede forma e sostanza alla Convenzione ENMOD “Convention on the Prohibition of Military or any other hostile use of environmental modification techniques”.

La guerra non è un campo aperto e infinito – dice la comunità internazionale – ma deve rispettare alcune regole d’ingaggio. Tra le quali anche il divieto di modificazione dell’ambiente.

Ma cosa succede quando il confronto avviene con gruppi armati non riconosciuti istituzionalmente(NSAG)? Cosa succede se il nemico è subdolamente nascosto e agisce senza alcuno scrupolo?

Questa è la minaccia asimmetrica dove l’unica regola è “Non ci sono regole” e ogni mezzo è preso in considerazione, compresi quelli in danno all’ambiente.

Danneggiamento degli acquedotti, avvelenamento delle acque superficiali, distruzione delle colture agricole: a questo si aggiunge la predazione incontrollata di specie animali e vegetali, richiesti nel mercato illegale (avorio, corno di rinoceronte, pappagalli, serpenti, legname pregiato) che diventano fonte di finanziamento per i terroristi.

A fronte dell’attenzione maggiore che i temi e le problematiche ambientali hanno guadagnato anche nei contesti internazionali ci si trova ancora a prendere atto che l’ambiente viene minacciato dal terrorismo e, in misura non molto inferiore, anche dalle attività che lottano contro il terrorismo.

E l’ambiente si trova tra fuochi incrociati, cadendo spesso vittima di fuoco amico.

Da una parte la sproporzione di chi non ha remore ad attentare alla salute umana e agli ecosistemi e dall’altra chi si trova costretto a scendere nella stessa arena per arginare questo fenomeno pericoloso e destabilizzante.

E’ questa una delle tematiche di maggiore rilievo ed attualità: la mitigazione degli effetti sull’ambiente dovuti alle azioni antiterrorismo. E’ necessario infatti che ci sia la precisa coscienza, dal punto di vista strategico, che il contrasto non può avvenire incondizionatamente e a qualunque costo ambientale ma debba salvaguardare ambiente e natura che sono tra i presupposti fondamentali per il superamento di conflitto o post-conflitto.

 

 

Genarale Isidoro FURLAN*: l’impegno di una vita per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente

*Generale di brigata in riserva

 

Generale Isidoro Furlan, 46 anni di attività lavorativa tutta impostata nel rispetto della natura prima nel Corpo Forestale dello Stato, ora Carabinieri Forestali, per tutelare l’ambiente.
Sono stati 46 anni di coerenza e di dedizione di cui sono molto contento. Molti mi chiedono se avrei potuto fare di più. Rispondo sicuramente, tutti noi avremo potuto fare di più. Come forestale, ma soprattutto come servitore dello Stato, vedo che l’ambiente in cui viviamo ha un estremo bisogno di essere difeso, e questo lo si fa attraverso la garanzia del rispetto delle regole e delle leggi che lo riguardano. Sono entrato nel corpo forestale a 19 anni, come semplice guardia, e dopo 15 anni trascorsi come guardia e sottufficiale ho vinto il concorso per ufficiale nel Corpo Forestale dello Stato prima, ora Carabinieri Forestali, risalendo tutta la gerarchia fino al grado di generale.

Come vede, sono riuscito ad avere un quadro piuttosto ampio delle diverse cariche istituzionale che, a diverso titolo, si occupano di preservare l’ambiente in cui viviamo e, in tutte, ho conosciuto uomini che, come me, hanno dedicato ogni sforzo per controllare la funzione preziosa che ha l’ambiente per la qualità della nostra vita.

La mia laurea in Scienze Forestali mi ha permesso di capire quanto sia importante il ruolo che hanno i boschi e le foreste per l’uomo e per tutte le altre specie che convivono con noi; tutto questo l’ho toccato con mano durante la mia attività di prevenzione degli incendi boschivi e di rimboschimento forestale.

Vigilanza, tutela e valorizzazione dell’ambiente sono state alcuni dei pilastri sui quali ha basato il suo impegno.
Sono attività diverse, ma complementari, allo stesso modo tutte indispensabili per la protezione dell’ambiente, degli animali e del settore agro-alimentare. Direi senza dubbio che le prime due sono propedeutiche alla terza.

Non possiamo valorizzare nulla che non sia tutelato e la tutela passa attraverso una stretta vigilanza che però non deve essere attuata esclusivamente con attività repressive, ma anche tramite percorsi che accompagnino i cittadini verso comportamenti virtuosi di tutela ambientale.

Valorizzare l’ambiente. Si, ma come?
Direi attraverso tutta una serie di attività che, per semplicità, racchiudo in un solo termine: “comunicazione”. Oggi più che mai la tutela e la salvaguardia dell’ambiente passa attraverso la mediazione culturale, ed è lì, a mio avviso, che va riversato un maggiore impegno rispetto a quanto è stato fatto in passato. Il primo bersaglio, di sicuro, è la scuola. A tutti i livelli.

A me è capitato più volte scorgere la curiosità e la bellezza dell’entusiasmo negli occhi dei bambini quando assistono alla liberazione di piccoli uccelli o di qualche rapace, precedentemente sequestrati. O magari far capire che il loro comportamento nel bosco è fondamentale per permettere ad un piccolo capriolo di sopravvivere e di diventare adulto; così, dopo una piccola chiacchierata, capiscono che si imbattono in un piccolo, non devono mai raccoglierlo, ma allontanarsi dallo stesso per permettere alla madre di ricongiungersi.

Con i ragazzi, si può alzare l’asticella della comunicazione e si comincia, per esempio, a spiegare cosa sia la biodiversità e quanto sia importante per l’uomo e quali sono le attività che i carabinieri forestali mettono in atto per la sua tutela; in questo caso, raccontare come l’antibracconaggio sia un’arma vincente per il mantenimento della biodiversità, rende bene l’idea. Mi interessa che i ragazzi capiscano quanto sia diffuso il bracconaggio e come sia diventato una becera pratica illegale in continua evoluzione.

Faccio sempre il paragone tra il peso di un pettirosso bracconato che pesa 6 grammi ed il peso della cartuccia che l’ha abbattuto che è di 35 grammi. Tutto questo perché, ancora oggi, i piccoli uccelli continuano ad essere un cibo prediletto in alcune aree della nostra penisola nonostante sia un piatto “proibito” dalla legge sia per il consumatore che per chi lo prepara, parlo ovviamente della famigerata “poenta e osei” e di tutte le grottesche varianti locali, tipiche di alcune aree del nord italia.

Quando ho la possibilità materiale di mostrare gli strumenti usati per catturare illegalmente i piccoli uccellini, come richiami acustici, reti, archetti, vischio e cappi, o lacci e armi munite con silenziatori per la cattura e l’abbattimento degli ungulati facendo notare l’enorme spreco dell’ingegno umano usato per fini illegali e causa di enormi sofferenze per gli animali, e vedo la reazione indignata dei ragazzi, capisco che ho fatto un buon lavoro.

Infine gli adulti, la classe d’età più importante in quanto dotata di responsabilità. In questo caso mi interessa particolarmente mettere l’accento sulla differenza che esiste tra attività legittime e legali, così come quelle che hanno dei profili di incostituzionalità, penso, per esempio alle diverse posizioni esistenti sulla convivenza tra la nostra specie e i grandi carnivori.

Lei è stato molto attivo anche nella repressione della sofisticazione agroalimentare
Così come per la biodiversità, la repressione nei confronti della sofisticazione agroalimentare è un’attività importantissima le cui ricadute sono immediate per ognuno di noi, per i nostri famigliari e per tutti i cittadini italiani, ma anche per coloro i quali usufruiscono dei nostri meravigliosi prodotti fuori dai confini del nostro paese.

Quando si entra nel mondo complesso della sofisticazione alimentare la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti è l’obiettivo primario, ma mi piace ricordare che, anche se il più importante, non è l’obiettivo esclusivo. Dobbiamo sempre ricordarci che lo scopo principale di un’azienda è vendere il prodotto e questo avviene o direttamente al consumatore o ai grandi retailer, la grande distribuzione. In questo caso, scontato il rispetto delle leggi igienico-sanitarie, la sofisticazione avviene anche non rispettando altri requisiti che caratterizzano il prodotto come il rispetto delle etichettature, il peso, i diversi protocolli di sostenibilità ambientale e sociale, solo per citarne alcuni.

Fortunatamente oggi molti retailer vogliono mostrarsi al consumatore e all’intera società nel loro volto migliore per una attenzione verso l’ambiente e verso condizioni di vita degli operatori degne, quindi devono essere verificati quelle caratteristiche che normalmente leggiamo nelle etichette di molti prodotti, come la certificazione della responsabilità sociale, che significa che la produzione è avvenuta in assenza di lavoro minorile e garantendo ai dipendenti giuste condizioni di lavoro e salariali, così come il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità delle produzioni.

Nella mia carriera molti sono stati gli interventi preventivi che non hanno avuto esiti di rilevanza amministrativa o penale e di questo, ovviamente, sono il primo ad essere stato soddisfatto anche come consumatore; in altri, purtroppo sono stati rilevati gravi situazioni che hanno comportato denunce amministrative e penali, comportando sempre più una maggiore tutela per il consumatore, per la nostra salute e per la dignità dei moltissimi produttori italiani che lavorano nel rispetto delle regole e delle leggi .

Anche questa è stata un’attività intrapresa e condivisa con diversi colleghi che, come me, sono convinti dell’importanza delle diverse stazioni dei carabinieri disseminate sul territorio che rappresentano dei presidi indispensabili per la vicinanza ai cittadini e luoghi di prossimità per le esigenze della nostra società.

Generale Furlan, ora non opera più indossando una divisa, ma un microfono. Cos’è cambiato?
Nulla. Sono sempre un servitore dello Stato. Ora che sono in pensione, però, lo faccio in un altro modo. Come già detto, considero la comunicazione la chiave di svolta per una società che capisca che i temi ambientali sono importanti per tutti, e che il rispetto delle leggi e delle regole fa del bene a noi stessi, alla nostra salute e a tutto l’ambiente.

Così, combattere il bracconaggio e la sofisticazione agroalimentare sono sempre i miei argomenti ed il mio lavoro, ormai fanno parte di me, solo che adesso cerco di far capire la loro importanza ad un pubblico generico attraverso lo schermo televisivo. Credo sia importante far vedere alla gente come si lavora in tutta Italia e quali siano le ricadute nel nostro territorio. Sono compiti difficili, complicati, che il cittadino medio conosce in modo sommario. Da questo punto di vista la televisione e i media, come dire, tradizionali hanno ancora il ruolo chiave di poter implementare la cultura del nostro paese di importanti conoscenze tecnicoscientifiche.

Quest’anno per esempio, dal Veneto alla Calabria, con gli amici di GEO (RAI 3), abbiamo fatto vedere come operano i carabinieri forestali nelle diverse attività ordinarie e straordinarie di tutela e conservazione della biodiversità. Dalla trasformazione del legno, alla gestione dei domestici in aree frequentate da grandi predatori, ad azioni di antibracconaggio e di tutela di specie particolarmente protette.

Come vede c’è tanto da fare, ma c’è tantissimo da raccontare!

Grazie generale Furlan

 

Antibracconaggio: una sfida internazionale

di Marina BIZZOTTO

Maggiore Carabinieri Forestali
Addetta presso il Coespu alla Cattedra di Polizia per la Tutela Ambientale, Forestale e Agroalimentare

 

Cosa hanno in comune un Carabiniere Forestale che se ne sta acquattato tra i cespugli sul far del giorno, nelle valli bresciane ed un ranger del parco del Virunga, in Rwanda, che si carica sulle spalle il cucciolo di gorilla rimasto orfano della madre, uccisa dai bracconieri?

Forme diverse di intervenire, panorami diversi a caratterizzare il contesto ma unica rimane la risoluzione e la determinazione di chi opera, a salvaguardia della fauna selvatica, nell’antibracconaggio.

Grazie ad accordi multilaterali, da qualche tempo, queste diverse realtà sono state messe in contatto per avvantaggiarsi, le une delle altre, e condividere esperienze e metodologie.

Non stupisce quindi che si sia attivata una fattiva collaborazione tra gli esperti italiani e diversi stati africani che hanno chiesto di poter avvantaggiarsi di una formazione dedicata per contrastare il fenomeno.

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