Ettore RANDI* : il ruolo della genetica nella biologia della conservazione

*Già Fondatore e Direttore Laboratorio Genetica-ISPRA
*Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università Bologna
*Università Aalborg, Danimarca

 

Mai come oggi parole come DNA, cromosoma, codice genetico e genomica fanno parte del vocabolario dei media. Dalla TV alla rete, passando per i social, dall’esercizio nella risoluzione spettacolarizzata dei diversi delitti alla determinazione del nostro carattere, dalla filosofia dell’epigenetica passando per la medicina fino alla gestione delle altre specie che con la nostra convivono, sembra ci sia un argomento che più di tutti sbaraglia dubbi e dà certezze granitiche al presentatore della teoria di turno: la genetica. Questo nostro risulta essere quindi un periodo estremamente fecondo per i genetisti, ma è proprio così?

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Non c’è dubbio che questo periodo sia estremamente fecondo per i genetisti. Ricordiamoci che la genetica è una disciplina molto “giovane”. La genetica infatti nasce con i famosi esperimenti di incrocio fra varietà di piselli che Gregor Mendel fece nella seconda metà del 1800 e pubblicò nel 1865. Tuttavia il suo lavoro rimase sconosciuto e incompreso fino al 1906, quando venne riscoperto e valorizzato dal botanico William Bateson. Ma è solamente con l’identificazione del DNA come molecola che contiene l’informazione genetica (il codice genetico) e con la descrizione del modello della doppia elica ad opera di James Watson e Francis Crick nel 1953 che iniziò effettivamente il travolgente percorso della genetica molecolare che è ancora oggi tutt’altro che concluso. Il progetto di sequenziamento del primo genoma umano iniziò nel 1990 e venne di fatto completato solamente 13 anni dopo, nel 2003; coinvolse numerosi laboratori e centinaia di ricercatori in tutto il mondo. Costò circa 3 miliardi di dollari.

Oggi è possibile sequenziare un genoma umano completo in pochi giorni al costo di circa 1.500 dollari. Come si può comprendere, i progressi tecnici sono stati enormi e rapidi. Nel contempo sono sorte nuovissime discipline, inimmaginabili fino a pochi anni fa: la genomica delle popolazioni, l’epigenetica, la trascrittomica, la proteomica e la metabolomica.

Sono sorte perfino nuove professioni, prima fra tutte la bioinformatica, essenziale per riuscire ad elaborare ed a comprendere il significato delle sterminate quantità di dati che vengono continuamente prodotte nei laboratori di biologia molecolare. Così la genetica è entrata in quasi tutti i settori della biologia e della medicina, inclusa l’agricoltura, la zootecnica e, alla fine, anche la biologia della conservazione. Tutto questo non vuol dire che i messaggi che i media ci inviano quasi quotidianamente siano sempre corretti. Anzi, purtroppo sono quasi sempre distorti. Qui c’è un grande lavoro che resta da fare per una corretta divulgazione delle scoperte della genetica e della biologia contemporanea.

Ormai più di una dozzina di siti presenti in rete, attraverso un kit spedito comunemente a casa, e per meno di 100 $, ci permettono di scaricare la sequenza digitalizzata del nostro DNA  per scoprire le nostre origini e per trovare i nostri “parenti “ sparsi in tutto il mondo. Dato per scontato che uno, i lontani parenti, li voglia scovare, quello che risulta straordinario è che la tecnologia esistente ci permette di rispondere a domande che fino a poco tempo fa pensavamo fantascientifiche in modo chiaro e inequivocabile. Le stesse tecniche, applicate alla gestione della fauna selvatica, sembrano invece fornire orizzonti inaspettati di difficoltà cognitive che riguardano non solo un pubblico generalista (penso ai diversi fruitori di fauna selvatica come cacciatori, ambientalisti, agricoltori ecc.), ma anche colleghi che, con diverse formazioni, si affacciano alla gestione faunistica. Colpa della biologia della conservazione che ormai è diventato un “falso amico”, o è proprio colpa della complessità della genetica applicata a specie diverse dalla nostra?
Mi sembra difficile negare che la genetica “homemade” sia spinta essenzialmente da puri e semplici interessi commerciali. C’è poco di scientifico in tutto ciò, e le ambiguità semantiche con cui giocano questi siti online non fanno altro che speculare sulla scarsa comprensione che ancora abbiamo di cosa sia possibile fare o non fare con la genetica molecolare. L’analisi del DNA mitocondriale, piccolo genoma trasmesso esclusivamente per via materna, ci consente di rintracciare mitocondriali simili al nostro, che in certi casi sono più frequenti in alcune popolazioni piuttosto che in altre.

Questo non vuol dire che così abbiamo ricostruito le nostre origini. Per farlo occorrerebbe analizzare anche un buon numero di sequenze di DNA cromosomico e tener conto delle incessanti migrazioni che i nostri progenitori hanno fatto nel corso dei secoli. Tuttavia, accurate analisi di genetica delle popolazioni consentono di ricostruire la storia evolutiva delle specie (filogenesi) e delle popolazioni (filogeografia). Occorre disporre di basi di dati che includano un buon numero di campioni provenienti dalle popolazioni di riferimento, e di genotipi individuali ottenuti tramite affidabili procedure di laboratorio. Ma questo è un lavoro da esperti, non da commercio online.

Probabilmente i recenti progressi della genetica sono stati troppo rapidi e non c’è stato il tempo (o la volontà?) di rendere digeribili a tutti le implicazioni concettuali e pratiche. Non c’è nulla di incomprensibile nella genetica delle popolazioni applicata alla conservazione delle popolazioni naturali o allevate. La genetica applicata è una grande risorsa per tutti: dobbiamo solamente trovare il modo per divulgarla correttamente.

A questo punto ci spieghi che cos’è la genetica della conservazione e perché fa parte della biologia della conservazione
La Biologia della conservazione nasce nel corso della prima metà degli anni ’80, quando ormai è chiaro che la crescita impetuosa delle popolazioni umane e lo sfruttamento eccessivo di ogni tipo di risorse naturali, sta mettendo a rischio la biodiversità in ogni parte del mondo. I biologi della conservazione ritengono che l’obiettivo fondamentale sia quello di preservare i processi di evoluzione biologica, cioè di mantenere popolazioni di piante ed animali dotate di sufficiente diversità genetica per cui i complessi meccanismi di selezione naturale possano agire per continuare a produrre adattamenti agli inevitabili cambiamenti ambientali e biotici. Senza diversità genetica, l’evoluzione si ferma ed i rischi di estinzione delle popolazioni e specie diventano intollerabili.

Che considerazioni potremmo fare se in un prossimo futuro tutte le specie di grandi ungulati e carnivori africani fossero costrette a sopravvivere ridotte a piccole popolazioni rinchiuse in parchi o, peggio, in giardini zoologici? Ci sono pochi dubbi che il clima stia velocemente cambiando.

Come pensiamo che piccole popolazioni isolate di piante o animali prive di variabilità genetica, o impossibilitate a migrare in aree con ambienti più favorevoli, possano affrontare i cambiamenti climatici? Se già oggi si stima che le specie si estinguono a velocità centinaia di volte più rapida che nei millenni passati, nel prossimo futuro rischiamo disastrose conseguenze ecologiche.

Per questi motivi la genetica della conservazione è alla base della biologia della conservazione, proprio perché si pone l’obiettivo di studiare i processi di evoluzione nelle popolazioni naturali, con priorità per specie di alto valore conservazionistico, e di indicare procedure realisticamente applicabili nella pratica della tutela della natura.

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