di Mauro FATTOR
Caporedattore della Redazione Culturale del quotidiano “Alto Adige” di Bolzano
Decidere di intervenire in modo puntuale su un lupo confidente è un fatto gestionale. Persino decidere di eliminare 200 orsi e 11 lupi, come sta facendo il governo sloveno, è un fatto gestionale.
Il riferimento è sempre la sostenibilità del prelievo rispetto alla situazione delle due specie in un determinato contesto. Decidere invece di costruire, e offrire all’opinione pubblica, l’immagine del lupo come Animale sanguinario, come “belva”, è un fatto culturale.
Questa è la strada prevalente oggi in Alto Adige. Una strada che recupera e rilancia stereotipi medioevali sul lupo – dunque prescientifici – e che lo fa in larga misura attraverso un uso spregiudicato delle immagini. Una scelta questa moderna, anzi modernissima in epoca di comunicazione visuale.
Una scelta che ha un solo obiettivo: sovrastare l’opinione pubblica sul piano emotivo sopperendo da una parte alla relativa povertà di contenuti e dall’altra “impedendo” l’esercizio del pensiero critico rispetto alla presenza dei grandi predatori. Da questo punto di vista, il fascicolo sul lupo pubblicato dal Bauernbund – l’Associazione dei contadini altoatesini – il 13 luglio scorso e distribuito con il principale quotidiano di lingua tedesca della provincia, il “Dolomiten”, rappresenta un punto di non ritorno. Diciotto delle 32 pagine sono infatti occupate da pure e semplici immagini di animali – pecore, capre, vitelli, cavalli – predati dal lupo con reiterata ostentazione di budella, sangue, sventramenti, mutilazioni e carcasse.
Una nuance pulp, per dirla alla Tarantino, che punta alla colpevolizzazione, sul piano etico, del lupo e al conseguente disimpegno morale dell’opinione pubblica rispetto a ragionamenti appena più sofisticati e complessi di tutela e responsabilità nella gestione degli ecosistemi. Perchè dopo il Medioevo c’è stato Superquark, questo è il problema. Questo significa che per portare l’opinione pubblica ad odiare il lupo bisogna procedere ad una ristrutturazione cognitiva della sua immagine.
Può sembrare bizzarro, ma il lupo va “disumanizzato”, nel senso che va chiuso qualsiasi canale empatico. I grandi predatori, sin dall’antichità sono portatori di metafore complesse in cui bene e male coabitano. Basti pensare all’araldica dove lupi e orsi sono presenti a profusione, oppure agli animali totemici dove, ancora, il lupo la fa da padrone, o al mito della fondazione di Roma con la lupa che allatta i gemelli. Presso i Greci il lupo era sacro ad Apollo come lo era a Marte nel mondo latino. Lo stesso nel mondo germano-nordico dove Odino e lupo sono quasi sinonimi.
In aggiunta a questo poi è arrivata la scienza, l’attenzione all’ecologia, uno sguardo più obiettivo sui rapporti predatori-prede. Serve dunque un’operazione che cancelli tutto il positivo e che lasci solo il negativo, che tolga il terreno sotto i piedi a ogni possibile empatia, diretta o culturalmente ereditata. Il lupo deve essere “radicalmente altro”, tra uomini e predatori va creata una distanza incolmabile. Va detto che disumanizzazione, colpevolizzazione e conseguente disimpegno morale, sono tappe necessarie e imprescindibili nella costruzione del Nemico. Di un qualsiasi nemico, a qualsiasi latitudine. Ad un diverso livello, sono esattamente gli stessi meccanismi che hanno operato nella Germania hitleriana rispetto alla figura dell’ebreo, o negli Stati Uniti nella rappresentazione del nemico giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.
A questo va aggiunto un ulteriore elemento: l’individuazione di un fine superiore, che nel caso dei nazisti era la difesa della razza, negli Stati Uniti la difesa della nazione, e nel caso del lupo in Alto Adige è la difesa dell’agricoltura tradizionale o, più semplicemente della Tradizione, percepita come elemento privo di dinamismo, esattamente come la nazione o la razza: eterne e immutabili. Una valore a priori. L’immagine del lupo veicolata oggi dal radicalismo della parte più conservatrice, se non reazionaria, della società altoatesina ci arriva direttamente dal Medioevo (non dall’Antichità, dove il rapporto con questo predatore è sempre stato in chiaroscuro).
Il lupo dei bestiari medioevali è un animale che ama il male fine a se stesso; quando cattura un agnello o un vitello, li tortura prima di farli a pezzi e divorarli: è l’immagine stessa del diavolo che tormenta gli uomini e i monaci prima di precipitarli nel baratro infernale. Feroce e crudele, il lupo ammazza sempre più prede di quante gliene servano per nutrirsi; in questo ricorda i potenti baroni feudali che per pura cupidigia spogliano i contadini di tutto quanto possiedono, pur non avendo bisogno di niente. Per raccontare tutto questo oggi, per riportare in vita questo immaginario, si utilizzano le istantanee cruente delle predazioni, e più cruente sono meglio è.
L’ostentazione strumentale dell’evento predatorio naturale realizza un’iconografia funzionale alla costruzione di una narrazione che deve sostituirsi al ragionamento e all’analisi dei problemi. Che parli alla pancia e non alla testa, che alimenti la paura. Ora, tutto questo se restasse confinato al caso del lupo potrebbe apparire tragicamente folkloristico, ma non è così.
Questo tipo di comunicazione strumentale agisce infatti attraverso gli stessi meccanismi di suggestione che oggi inondano il web e che determinano gli orientamenti dell’opinione pubblica, per esempio sulla questione migranti. La rappresentazione plastica di questo teorema ha avuto la sua più recente celebrazione a Villandro – paesino della Val d’Isarco, sempre in Alto Adige – dove sopra uno dei grandi tabelloni che inneggiano ad un Sudtirolo libero da lupi (“Proteggete i vostri bambini!”) con l’immagine di un predatore che mostra i canini in atteggiamento terrifico, è stato incollato da ignoti un secondo manifesto con una ragazza bianca terrorizzata o infastidita, nauseata al punto da tapparsi il naso, avvicinata in maniera molesta da un ragazzo di colore, il tutto all’insegna del motto “Difendiamoci da lupi e neri”. Dunque il primo no è propedeutico al secondo, con una linea di continuità di cui si accorgerebbe anche un cieco e che sta diventando un tratto strutturale di ampi segmenti delle nostre società.
Ad inquietare ancor più di questo, dovrebbe essere poi il fatto che nessuno fino ad oggi, tra i partiti cosiddetti progressisti, ad esempio, abbia avuto la lungimiranza, la prontezza e la capacità di contrastare e contestare questo modo di agire, questo micidiale meccanismo “culturale” di costruzione del consenso che un pezzo alla volta sta intossicando la politica e i processi decisionali, sdoganando un uso sguaiato e violento del linguaggio e delle immagini finendo con il legittimare azioni illegali o fino a poco tempo socialmente riprovevoli.
E forse non è un caso che in Tirolo, dove il fronte rurale utilizza gli stessi argomenti largamente abusati anche a sud del Brennero, proprio i primi giorni di agosto a Sellrain, nel comprensorio di Innsbruck – dove i lupi si contano sulle dita di mezza mano – sia stata trovata nel bosco la carcassa di un lupo ucciso e decapitato. La Belva finalmente giustiziata.