di Alessia MARIACHER1 Rosario FICO1,2
alessia.mariacher@izslt.it
rosario.fico@izslt.it
1Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, sezione di Grosseto
Viale Europa, 30 58100 Grosseto
2Responsabile Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria
“Cane sbranato dai lupi!”, così hanno titolato molti giornali negli ultimi anni, dando eco a una diffusa preoccupazione dei proprietari di cani che vivono in zone recentemente ricolonizzate dal lupo.
Ma quante volte questo grido di allarme è stato giustificato, e quante invece si è trattato solo di una ricerca al… lupo espiatorio?
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Il ritorno del lupo in Italia ha portato alla ricomparsa di conflitti da tempo dimenticati in molte aree del paese. La presenza di un predatore in un territorio richiede certamente un adattamento delle persone che si trovano a vivere e lavorare nello stesso ambiente, specialmente quando questo lavoro si svolge a stretto contatto con gli animali, si tratti di bestiame (come pecore e vitelli) o di piccoli animali.
Le misure preventive per ridurre le predazioni del lupo a carico degli allevamenti si sono dimostrate altamente efficaci e, nelle aree dove vengono applicate correttamente e assiduamente, hanno consentito di ridurre le perdite degli allevatori e creare un clima di maggiore accettazione nei confronti di questo amato-odiato carnivoro.
Ma il lupo può davvero predare anche i cani? Tutti quei casi di ‘cani sbranati’ riportati dalla stampa locale e dai social-media sono davvero attribuibili al lupo?
Guardando al più ampio panorama europeo, vi sono realtà documentate in cui l’incontro-scontro fra lupi e cani è un avvenimento comune, spesso con un esito poco felice per il cane, che può venire assalito e ferito in modo fatale. Questo avviene ad esempio negli ambienti selvaggi del nord Europa, dove i cani da caccia vengono liberati nelle foreste per seguire le tracce di grandi ungulati. In questo scenario può avvenire che alcuni cani vengano feriti o uccisi dai lupi mentre sono impegnati nella ricerca della selvaggina, a notevole distanza dal proprietario-cacciatore.
È stato anche osservato che, in questo contesto, gli attacchi del lupo ai danni dei cani da caccia tendono ad aumentare durante i periodi di bassa densità delle prede naturali (gli ungulati selvatici); l’aggressione sarebbe pertanto motivata non solo dal disturbo arrecato dal cane che si introduce nell’habitat lupo, ma anche da una effettiva esigenza di predazione-alimentazione del lupo stesso. Per chi fosse interessato si rimanda ai lavori di Backeryd (“Wolf attacks on dogs in Scandinavia 1995 – 2005”) e Peltola (“Response-ability in wolf–dog conflicts”).
Nell’ambiente mediterraneo tuttavia lo scenario è molto differente, e quando agli onori della stampa sale un cane da caccia ‘orrendamente ucciso e sbranato nei boschi’ (questo il tenore del lessico scelto usualmente per sollecitare il raccapriccio nei lettori), è forse il caso di sospettare altri colpevoli oltre al lupo.
È stato recentemente pubblicato, da parte del gruppo di lavoro del Centro di Referenza per la Medicina Forense Veterinaria dell’Istituto Zooprofilattico del Lazio e della Toscana, un articolo dal titolo “Who is the killer? Barking up the wrong tree” (liberamente consultabile a questo link: http://tiny.cc/ldld5y, attenzione alle immagini contenute che potrebbero impressionare alcuni lettori). Con questo lavoro per la prima volta, unendo le tecniche della medicina forense veterinaria e della genetica forense, si è potuto dimostrare un caso di predazione su un cane da caccia da parte delle sue stesse vittime predestinate, i cinghiali.
Nulla di nuovo sotto il sole, in verità. Tutti i cacciatori sanno che, una volta sciolti nella caccia in braccata, i cani vengono frequentemente feriti o uccisi dai cinghiali, in una comprensibile aggressione a scopo di difesa. I cinghiali, in particolare i maschi, sono muniti di zanne lunghe e ricurve con le quali infliggono delle pericolosissime ferite ai cani che si avvicinino troppo. Quello che forse si fatica ad accettare, è che il cinghiale non solo può uccidere il cane ma, se appena ha qualche minuto di tempo indisturbato, può anche nutrirsene approfittando dell’inatteso spuntino.
Nel lavoro succitato sono state descritte delle peculiari lesioni da consumo sulla carcassa, che procedevano per così dire a strati, ‘a cipolla’. Questo peculiare aspetto dei resti (del cane in questo caso, o talora di altre vittime anche selvatiche dell’onnivoro cinghiale) si deve alla tipica dentatura dei suini, che lascia anche caratteristiche tracce sulle ossa. I rilievi necroscopici sono stati poi confortati e rinforzati dall’esecuzione di tamponi salivari prelevati dalle lesioni più evidenti. Da tali campioni è stato estratto il DNA di non uno, ma almeno due differenti cinghiali.
Presso il Centro di Referenza per la Medicina Forense Veterinaria sono stati analizzati anche altri casi analoghi, il più recente verificatosi a gennaio 2019 nella Provincia di Grosseto, con un piccolo cane da compagnia aggredito e poi parzialmente consumato dai cinghiali dopo essere stato lasciato libero in un’area rurale.
Negli ultimi anni, infatti, diversi casi di predazione e consumo sono stati riportati, soprattutto su cani da caccia in Centro Italia. Tali episodi avvenivano in genere su cani liberi, vaganti nei boschi, in assenza di testimoni e a distanza dal proprietario. Tali casi sono stati immancabilmente attribuiti al lupo, nonostante in nessun caso fosse stato eseguito un esame necroscopico forense né fossero state scientificamente raccolte altre possibili prove del fatto.
Poiché le uccisioni per rappresaglia sono ancora una delle principali minacce alla conservazione del lupo, è della massima importanza non favorire allarmi ingiustificati e identificare correttamente il predatore in ogni caso in cui si verifichino attacchi ad animali domestici. Per fare ciò è indispensabile che i resti delle vittime siano esaminati da un veterinario forense; inoltre l’esame necroscopico dovrebbe essere corroborato da analisi molecolari.
Solo la scienza e la comprensione degli eventi ci porteranno ad una migliore convivenza con gli animali domestici e selvatici con cui coabitiamo.